CRISTIANO OSSOLI | Museo della città di Chiari

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CRISTIANO OSSOLI

Nato a Chiari (BS), Cristiano Ossoli si diploma in tecniche avanzate di fotografia digitale presso la Regione Lombardia. Di sé dice di non ritenersi un fotografo al cento per cento, ma più un photopainter. La fotografia, come per un pittore la tela, è il supporto sul quale si esprime. Nel 2015 espone alla Biennale internazionale Romart 2015 e nella personale intitolata Mademoiselle B. presso la galleria d’arte Federica Morandi Art Projets, che lo rappresenta. Sarà poi presente a EXPO dopo essere stato contattato dall’organizzatore della sezione architettura, in Padiglione Italia e a Luglio per il Fuori Expo in una collettiva nel frizzante quartiere artistico di Lambrate, oggi considerato come uno dei centri creativi maggiormente in espansione. Nel 2013 espone con una personale durante il Fuori Salone in Spazio Cappellari a Milano, curata da Roberto Mutti, “Come Carte da Gioco” e partecipa alla collettiva organizzata in Spazio Oberdan per il Photoremix VII, co un opera che sarà poi esposta a Montreal in Canada presso la Fiera Internazionale del Design SIDIM. Nel 2012 Inaugura il Photofestival con una personale dal titolo Still Life, nella sala d’ingresso di Palazzo Castiglioni, in corso Venezia a Milano, curata da ch2 di Chiara Chiapparoli e Veronica Iurich. Il 2010 è l’anno del primo vero progetto di un certo rilievo che lo vedo protagonista, aggiudicandosi la categoria “Architettura”, del Contest “Sogno Milano”, da cui verrà realizzato un libro fotografico e collaborando con F.lli Alinari di Firenze, Gruppo24Ore e il Comune di Milano. Quest’anno per il Fuori Salone 2015, presso lo showroom Magolfa23 a esposto tre installazioni, in cui si vedevano protagoniste le sue Opere, “La Donna Oggetto”, “Gola”, “Lavanda” e in fine “Anche gli squali fanno la doccia”.

STEFANIA ZORZI | Museo della città di Chiari

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STEFANIA ZORZI

Stefania Zorzi, nasce a Gavardo il 04/04/1985. Nel 2010 si laurea in Arti Visive presso l’Accademia di Belle Arti L.A.B.A di Brescia. Tra il 2008 e il 2009 frequenta, tramite il progetto Erasmus, la Facultad de Bellas Artes di Cuenca (Spagna). La sua attività espositiva, a livello nazionale ed internazionale, inizia nel 2008 e comprende mostre collettive, personali e workshop. “La sua ricerca artistica viene espressa attraverso vari mezzi che vanno dall’installazione alla fotografia, dal video alla poesia. Il filo conduttore è il materiale vivo, il corpo, la continua costruzione e, allo stesso tempo, l’inarrestabile consumarsi, che s’intreccia con l’attenzione allamemoria, ai legami e al tentativo d’imprire qualcosa come segno di un passaggio. Le opere sono finestre, scatole da aprire sul mondo interiore dell’artista che rispecchiano il vissuto contemporaneo spingendo il proprio essere verso una trasformazione e riedificazione.”

RAMONA ZORDINI | Museo della città di Chiari

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RAMONA ZORDINI

Nata a Brescia nel 1983. Vive e lavora a Brescia, Italia. Studia alla Libera Accademia di Belle Arti di Brescia conseguendo un Diploma Quadriennale in pittura indirizzo fotografia con voto 110/110 lode e un Diploma Specialistico in Fotografia con voto 110/110lode. Attualmente insegna Fotografia, è stata pubblicata su riviste Internazionali ( tra le più importanti Zoom di Marzo 2009 e Zoom di settembre 2009), ha vinto il Premio Telethon edizione 2009, nel Premio Tau Visual è stata indicata come “Autore Segnalato” e nel 2011 viene selezionata per partecipare alla Biennale dei Giovani Artisti dell’Europa e del Mediterraneo. La sua ricerca artistica nasce dal mezzo fotografico imponendo fin da subito la necessità di eliminare le delimitazioni spaziali e mentali di opera fotografica quadrata e bidimensionale; Lavora principalmente sul concetto di mutamento, di trasformazione psico-fisica, attratta più dal divenire scandito e modificato dal tempo che dal processo compiuto, spesso attrice del suo stesso lavoro, si serve dell’arte per esplorare le proprie scatole chiuse e scoperchiarle. Negli ultimi anni, cercando di sovverchiare le delimitazioni spaziali ha unito la fotografia del corpo al cucito e alla tridimensionalità degli altorilievi  lavorando prevalentemente con l’acqua, elemento ricco del concetto di trasformazione e delimitazione tra l’ora e il suo tempo dissonante.

“Vorrei l’impermeabilità delle cose per toccare ogni sensazione senza che filtri occasionalmente il mio essere e mi stordisca, lasciandomi implosa a riempire una scatola di rievocazioni decomposte e reinventate a mia immagine e somiglianza. Ambiguo il termine, ambiguo il luogo, il gesto, il pensiero, i tuoi occhi persi dentro un lui senza entrata, è un eterno momento di transizione, nulla è come ieri, il filtro è da pulire.”

INQUIETUDINE E MERAVIGLIA | Museo della città di Chiari

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INQUIETUDINE E MERAVIGLIA

Se dobbiamo scegliere tra un sentimento che più di tutti caratterizzi gli ultimi anni della storia recente, quello è certamente l’inquietudine. Lo zeitgeist (lo “spirito del tempo”) di un’epoca, la nostra, che non può che essere di transizione, di passaggio, visti i numerosi aspetti di crisi che tutti si sono trovati o si troveranno ad attraversare. Una crisi dopotutto necessaria affinché la società intera si soffermi ad osservarsi allo specchio prima di poter continuare il cammino. Del resto era impensabile credere di poter proseguire in un’ascesa ininterrotta delle scienze, della tecnologia e del benessere, senza lasciare il minimo spazio per lo sviluppo dell’anima, per le necessità interiori, per l’elemento prettamente umano. “Ignoti nulla cupido” direbbe Ovidio: “Nessun desiderio dell’ignoto”, ad indicare chi non ha più una certa cultura che lo porti costantemente a pensare, a ricercare, ma soprattutto a dubitare: e si sa che il dubbio è principio della conoscenza. Ed ecco tre giovani artisti pienamente figli del loro tempo indagare in questa sede, e nel loro lavoro oramai consolidato, quanto da quell’inquietudine germoglia o può germogliare. E se non ci si lascia sopraffare dalla negatività, peraltro maniacalmente sottolineata da un bombardamento schizofrenico attuato quotidianamente dai media e dai social network, allora si può scoprire – o meglio ricordarsi – che non solo ogni sorta di “male” può essere trasmutato, ma che spesso questo è il punto di partenza imprescindibile per una trasformazione evolutiva duratura e consapevole delle coscienze. Ed i nostri questo concetto l’hanno ben compreso, imparando a plasmare dalla propria inquietudine esistenziale un modo di fare arte non semplice, certamente di senso compiuto e dall’esito formale parossisticamente chiaro, talvolta declinato in un interrogativo, talvolta in una critica, talaltra ancora elevato a contemplazione. E se non sempre una risposta definita è possibile, i tre sembrano suggerirci che la direzione in cui cercare passa sempre attraverso la Meraviglia.

 

– ALESSANDRO BULGARINI

pittore apocalittico e sincretico, interessato all’immagine nella sua pienezza comunicativa, affida alle modalità “classiche” della pittura ad olio il compito di riportare in vita conoscenze antiche e profonde, riguardanti l’uomo nella sua complessità ed interezza. Immagini come emblemi che interrogano e suggeriscono al contempo uno sguardo sincretico attraverso le tradizioni sapienziali delle diverse culture, nel tentativo di rinsaldare la frattura tra materia ed anima. Quasi sempre enigmatico, talvolta ironico, pone costantemente in atto un’intensa istanza etica ed esistenziale di smascheramento e di rivelazione, metabolizzando per poi rivitalizzare il linguaggio mitico e archetipico.

 

– DOROTHY BHAWL

autodidatta poliedrico, spazia dalla fotografia alla scultura passando per l’incisione su vetro e la pittura. I suoi scatti mettono in scena situazioni al limite del grottesco, abitate da personaggi singolari e stravaganti, veicolo di simbolo e contenuto, espressione di critica o di celebrazione nei riguardi dei più scottanti temi d’attualità sociale. Le sue sculture, plasmate con elementi naturali recuperati sul campo, materializzano creature ibride tra favola e sciamanesimo, testimoni di un mondo immaginale parallelo, dove le convenzioni si dissolvono nell’enigma ultimo della meraviglia.

 

– MICHELE ZANNI

sapiente manipolatore di materiali i più svariati, dal cemento al legno, passando per i metalli, allestisce presenze scheletrificate che inscenano una danse macabre della società dell’apparenza quale memento mori di alcuni dei temi più critici che accompagnano il nostro tempo: dalla morte di Dio intesa come azzeramento di radici e valori, ai controsensi dell’assurdità dell’inquinamento-progresso, delle morti sul lavoro e della morte che la cementificazione necessariamente comporta, fino alla scelta terrena di Adamo ed Eva di cogliere dall’albero della conoscenza, con tutto quello che da ciò ne deriva.

MARCELLO GOBBI | Museo della città di Chiari

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MARCELLO GOBBI

Nato nel 1970 a Brescia, dove vive e lavora. Nel 1996 si diploma in Scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Brera e inizia a esporre fin dai primi anni Novanta. Le sue sculture vivono di una contraddizione implicita: solide anime plastiche sostengono una pelle di silicone che si smaterializza, scompone e disperde in mille gocce. Tematiche costanti del suo linguaggio creativo sono l’eterna scelta umana tra il cedere o l’elevarsi, il contrasto tra il bene e il male, il sacro e il terreno, l’ambivalenza tra l’amore e la morte.  Esistono parole cariche di significato: una di queste è “presenza”. Esistono opere che sanno caricare di senso le parole: sono le sculture di Marcello Gobbi. Sculture che sono presenze. Appaiono davanti agli occhi del pubblico ergendosi nell’oscurità che, attimo dopo attimo, le renderà mutevoli e ancora diverse da come in un primo istante si erano mostrate. Presenze di corpi avvolti nella cangiante epidermide di silicone, seconda pelle di corpi e volti di enigmatica intensità. “(…) Mi piace invitare al tatto”, ha recentemente descritto Gobbi in una intervista, “mi piace l’idea che un pensiero possa passare attraverso i sensi superando il limite del razionale…per me è un grande traguardo riuscire a stimolare emozioni anche attraverso l’abbandono e il ritorno alla sensazione”.

– Ilaria Bignotti -

MARCO PAGHERA | Museo della città di Chiari

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MARCO PAGHERA

Marco Paghera nasce a Montichiari (Brescia) nel 1980. Dopo il diploma presso il Liceo Artistico Olivieri, approda all’attività artigiana di famiglia che da decenni si occupa di particolari lavorazioni in metallo; qui trova la necessaria condizione di slancio per cominciare le sue sperimentazioni. Inizia così la realizzazione di disattese reinterpretazioni del ferro nell’ambito del design e della scultura. Il suo lavoro non rimane inosservato ed appaiono le prime citazioni sulle riviste del settore. Il 2013 è l’anno di svolta e l’artista inizia a maturare il passaggio dalle grandi sculture dinamiche, come la monumentale “Oltre”, alle geometriche “Introspezioni cerebrali”. In quell’anno entra a far parte di MODE, un gruppo di giovani artisti, e riscontra i primi consensi tra i critici, tra cui i professori Paolo Bolpagni ed Alberto D’Atanasio. Proprio in procinto di una mostra con il gruppo MODE, Marco Paghera subisce il furto dal suo laboratorio di due sculture, tra cui la prediletta “Anime molteplici”, che non sarà più ritrovata. Dopo la parentesi di Mode, prosegue il suo percorso autonomamente, concentrando i suoi studi sulle Introspezioni cerebrali. Viene apprezzato da curatori e critici, come il Cav. Flavio De Gregorio, il Prof. Riccardo Sorani, la Dott.ssa Elena Gollini e partecipa a mostre internazionali e nazionali, curate da critici come il prof. Vittorio Sgarbi. Nel dicembre del 2014 gli viene conferito il Diploma d’Onore e il titolo di Benemerito dell’Arte Italiana dall’Accademia Santa Sara. Nelle opere di Marco Paghera ritroviamo la passione per le contaminazioni materiche: egli coniuga e mescola il ferro, l’elemento che più lo rappresenta, ad inserti in resine speciali, velluti, legno e altri materiali. Marco Paghera ora vive e lavora a Castenedolo (Brescia). Sara Ghizzi L’essenza delle “Introspezioni cerebrali” Nelle serie “Introspezioni” troviamo un forzato e geometrico controllo delle emozioni, ordinatamente confinate in forme quadrate o rigorose celle cubiche che ne impediscono il naturale permeare verso l’esterno. Emerge nell’autore un personale bisogno di regole e di un’etica che contamini e migliori l’individualismo del nostro tempo. In queste collezioni di opere l’artista esprime lo stato figurativo della propria mente, di pensieri, passioni, ricordi e solitudini vissute, attraverso la fusione di elementari geometrie e ricercati materiali, quali acciaio, alluminio, legno, velluti, resine ecc. La mente, scandagliata e scomposta,  viene proposta al pubblico con una veste di matrice astratta, eppure comprensibile e palpabile; condizione quest’ultima caratteristica della scultura.

– Sara Ghizzi –

 

L’essenza delle “Introspezioni cerebrali”

Nelle serie “Introspezioni” troviamo un forzato e geometrico controllo delle emozioni, ordinatamente confinate in forme quadrate o rigorose celle cubiche che ne impediscono il naturale permeare verso l’esterno. Emerge nell’autore un personale bisogno di regole e di un’etica che contamini e migliori l’individualismo del nostro tempo. In queste collezioni di opere l’artista esprime lo stato figurativo della propria mente, di pensieri, passioni, ricordi e solitudini vissute, attraverso la fusione di elementari geometrie e ricercati materiali, quali acciaio, alluminio, legno, velluti, resine ecc. La mente, scandagliata e scomposta,  viene proposta al pubblico con una veste di matrice astratta, eppure comprensibile e palpabile; condizione quest’ultima caratteristica della scultura.

GUIDO MORETTI | Museo della città di Chiari

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GUIDO MORETTI

Secondogenito di tre figli maschi Guido Moretti nasce a Gardone V.T. il 12 agosto 1947 in via Gramsci n. 20. Il padre Luigi fa il falegname e utilizza come laboratorio una parte del corridoio di casa. Solo più tardi, grazie all’attenta collaborazione della moglie Rosa Bettinazzi, il falegname Moretti riesce a mettere in piedi un vero e proprio mobilificio. Crescendo in mezzo al legno, Guido sarà sempre affascinato da questo materiale: «lo respiri, ti entra dentro. I colori … gli odori! Quello della colla ce l’ho ancora nel sangue.» Ai banchi di scuola egli preferisce la falegnameria paterna dove ha modo di sfogare la propria vitalità giocando con il legno e lo stucco: nascono così dei “pitotini”, le sue prime sculture. Dopo le elementari, sempre a Gardone V.T., frequenta la prima classe dell’avviamento. Nel ’59 il fratello maggiore Giorgio viene mandato in collegio a Brescia presso l’Istituto Artigianelli e Guido, per un innato bisogno di evasione, è ben contento di seguirlo. L’esperienza del collegio non è piacevole ma la scuola gli consente di sviluppare ulteriormente la propria manualità. Tornato a Gardone V.T. si iscrive, ma solo per un anno, all’Istituto tecnico Zanardelli. Dopodiché sacrifica, con successo, tutta l’estate per preparare l’esame di ammissione al biennio della sezione staccata dell’ITIS di Brescia che, proprio quell’anno, prende l’avvio nel suo paese. Il triennio lo completa invece nella sede centrale. Qui, grazie al professor Cesare Scariolo, scopre e viene catturato dalla bellezza della geometria analitica. Ottenuto il diploma il bisogno di libertà e di nuovi orizzonti culturali lo spinge ad iscriversi nel ’67 alla facoltà di Ingegneria di Padova. E’ di questo periodo la sua prima opera realizzata con la plastilina. In realtà si tratta di una copia fedele di una scultura (un partigiano morto) vista alla Mostra del bronzetto nel Palazzo della Ragione. La stessa cosa farà qualche anno dopo a Lumezzane con una scultura di Vitto Piotti. Nel ’69, finito il biennio, l’irrequieto Guido, pensando all’insegnamento come futura professione, passa alla facoltà di Fisica e si trasferisce a Milano. Qui mette su famiglia, nel ’71 nasce la figlia Chiara. Per un anno Guido fa l’applicato di segreteria in una scuola media pur continuando a studiare per l’università. Nel periodo milanese si intensificano le sue prove di scultura: Busto della moglie Silvia, Testina della figlia Chiara, Coscienza di sé, Una copia da Manzù, Difficile incontro. Nel ’73 si stabilisce a Brescia dove continua la sua attività artistica, risalgono a questi anni: Armonia di corpi, Solitudine, Incomunicabilità. Il 12 dicembre dello stesso anno si laurea in Fisica. Nel gennaio ’74 ottiene il primo incarico come supplente annuale a Lumezzane nella Scuola Media Statale di San Sebastiano. Nel ’74-’75 insegna all’ITIS Castelli nelle sezioni staccate di Manerbio e Gardone V.T. Nel ’75-’76 insegna al Liceo Scientifico Calini nella sezione staccata di Rovato. Frequenta il gruppo della Loggetta e segue i corsi di disegno e di ceramica da esso organizzati. Quando il gruppo si scioglierà Guido darà vita con altri artisti, fra i quali Mario Raineri, Mario Rivetti, Giuseppe Giori, Maria Grazia Filetto e Giuliana Montanari, al gruppo Moretto che gestisce l’omonima galleria. Il critico Luciano spiazzi segue con attenzione e simpatia l’attività del sodalizio. Guido organizza e frequenta i corsi di disegno e di affresco del pittore Gianni Parziale. Il suo primo tentativo di fuga dal figurativo si concretizza in questo periodo con le sculture dell’uovo, come momento di ricerca sul rapporto positivo – negativo. Nel ’76, a seguito della separazione coniugale, si trasferisce a Bovezzo dove abita tuttora. Nel ’79 conosce Graziella Malgaretti. Nell’ ’81 insegna contemporaneamente al Pastori e al Gambara di Brescia, poi al Moretto e infine all’ ITIS Castelli dove rimane fino al congedo nel 1991. Con Omaggio a Freud si conclude nell’ ’81 il periodo figurativo che tanto lo aveva aiutato nella ricerca di sé. Ora, e lo dice lui stesso: «Scolpire equivale a gioire, a giocare». Le stratificazioni che testimoniano la nuova fase artistica dello scultore saranno nell’ ’85 esposte a Brescia nella galleria dell’AAB. Nell’ ’86 Guido sposa Graziella. La Sua creatività non ha sosta: dalle stratificazioni passa alle rotazioni (La sfera d’oro, La nascita del cubo) ed infine alle intersezioni ortogonali (Quarchio, Sinusoide smorzata, Spirale quadrata). Nel frattempo nell’ ’89 nasce Raffaele e Guido realizza la scultura Maternità. Nel ’90, in occasione della mostra presso la galleria Nanni di Bologna, Guido conosce il critico Giorgio Ruggeri che lo incoraggia nella sua ricerca e lo accompagna con preziosi consigli. Nel ’91 inizia la proficua e stimolante collaborazione con il centro culturale Sincron di Armando e Wanna Nizzi di Brescia. Un altro incontro molto significativo per Guido è stato quello con Romano Piccichè, compianto amico, al VII° Salone Italiano d’arte contemporanea di Firenze nel ’92. Il critico pubblicherà una lunga intervista nell’agosto ‘93 sul “Giornale di Sicilia”. Nel dicembre del ’95 la rivista “Brescia Ricerche” gli dedica la copertina del n. 12; nel giugno del ’96 pubblica un suo articolo Scultura per separazione – Informatica e tecnologie d’avanguardia al servizio della scultura. Dal ’96 collabora in modo continuativo con la galleria milanese Arte Struktura di Anna Canali. Guido Moretti vive e lavora tuttora a Bovezzo alle porte di Brescia.